giovedì 9 aprile 2015

L'ARTE DELL'INSEGNAMENTO NON SI IMPARA SUI LIBRI!
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Oggi mi sono passate sotto mano le parole di Don Giancarlo
Gremizzi prete malato di SLA e morto qualche giorno fa all'età di 60 anni a Cremona.
Per anni, è stato professore alle scuole superiori e nella prefazione di un suo libro, proprio in merito all'insegnamento, scriveva:



I ragazzi sono una materia che prende la forma del nostro umore, si lascia bucare dal nostro sguardo e scaldare dalla nostra attenzione, si innamorano di noi se noi diamo loro passione, si muovono indifferenti nella loro distrazione se percepiscono distacco, sanno diventare ostili reagendo anche al nostro più dissimulato nervosismo. I ragazzi non sono solo la platea su cui riversiamo il sacco delle nozioni che abbiamo imparato. Sono lo specchio di ciò in cui crediamo, e vedono se stessi nei nostri occhi. Se nel nostro sguardo c’è rassegnazione, loro non si sentiranno guardati, si perderanno in altri mondi. Se nel nostro sguardo c’è paura, loro si sentiranno senza una guida. Se nel nostro sguardo c’è disprezzo, loro faranno di tutto per essere peggiori.
Ho visto tanti colleghi sedersi in cattedra amareggiati, disincantati, stanchi nell’entusiasmo, lamentarsi di avere di fronte generazioni a cui niente interessa più, studenti che non hanno l’anima giusta per apprezzare Foscolo, Platone, Seneca. Quei colleghi che si fanno forza fra loro criticando fuori dall’aula il menefreghismo di Tizio, l’apatia di Caio, l’assenza di collaborazione delle famiglie, si giustificano come potrebbe giustificarsi un libro chiuso che nessuno legge. Non capiscono che non è di Foscolo, che i ragazzi devono prima di tutto innamorarsi, ma di loro. La buona volontà che richiedono gli insegnanti agli studenti non esiste al di fuori dell’interesse, e l’interesse non esiste separato da un legame emotivo.
Lo studio motivato solo dal rigore, dall’obbligo, si riduce ad un mero esercizio della volontà. L’entusiasmo dei giovani deve essere intercettato, perché c’è, e questo può accadere solo attraverso la fascinazione reciproca. L’insegnante deve donarsi, perché solo donandosi può ricevere il dono che gli studenti possono fargli di sé, dell’apertura della propria mente.
... poi prosegue individuando le cause ...
Nel mondo della scuola, l’assenza di un sistema meritocratico che promuova i docenti più capaci, più apprezzati, lascia largo spazio alla rinuncia dell’idea di missione educativa: nel momento in cui il prodotto del nostro lavoro non porta a un miglioramento effettivo delle condizioni sociali ed economiche, è facile e comodo appigliarsi all’alibi della sterilità della terra su cui agiamo. Sterilità delle menti dei ragazzi che abbiamo di fronte, mancanza di interesse su cui ci diciamo che è impossibile lavorare. Quando il compenso del nostro mestiere si misura in termini di soddisfazione personale, più che economica, è il cuore che dobbiamo mettere in campo, la passione. Il sentire. Ma è vero che il sentire richiede uno scoprirsi, e lo scoprirsi fa paura, rende vulnerabili. E allora c’è bisogno di fede: fede nei ragazzi e nel senso del nostro lavoro.
... e chiude così ...
In questo senso si può vedere che molte professioni altro non sono che l’istituzionalizzazione di un servizio; così che, mentre possono essere intraprese per tutt’altro motivo (di lucro, di ambizione, di realizzazione personale), in realtà esistono perché esistono bisogni, e dunque la loro ragion d’essere è in questa relazione di oblatività. Valga per tutti il mestiere dell’insegnante: ogni requisito di professionalità (dalla competenza educativa alla gentilezza dei modi) risponde alla esigenza del servizio, così come ogni momento dell’esercizio professionale è offerta di un servizio.
Molte volte sono entrato in classe arrabbiato e deluso. Molte di quelle volte sono rimasto chiuso in me, lasciando che dalla mia bocca uscissero solo parole che avevo imparato sui libri. E la mia giornata è stata peggiore. Altre volte ho portato in aula il mio cattivo umore, l’ho sciolto tra i banchi, l’ho sparso tra i ragazzi permettendo loro di curarlo, ho costruito insieme a loro il mio entusiasmo. Mi sono affidato a dei sedicenni con i capelli strani e le gomme in bocca.
E la mia vita è stata migliore.
don Giancarlo Gremizzi
 

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